Arriva la MotoE, una svolta storica o un cambiamento epocale nel mondo delle corse?

Arriva la MotoE, una svolta storica o un cambiamento epocale nel mondo delle corse?
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Le moto elettriche arrivano in un campionato che è sempre andato a benzina (o a miscela). Ma nei settant’anni di storia del mondiale i cambiamenti epocali sono stati altri: per esempio il passaggio dal due al quattro tempi…
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
4 luglio 2019

Domenica prossima nel GP di Germania le moto elettriche faranno il loro esordio ufficiale nel massimo campionato FIM. Due turni di prove libere il venerdì, le qualifiche il sabato e infine, alle dieci in punto di domenica 7 luglio 2019, le Energica Ego Corsa della MotoE entreranno a pieno titolo nella storia del motomondiale.

Quella del Sachsenring può essere considerata una svolta storica? In un certo senso certamente sì - dal 1949 il nostro campionato è sempre stato alimentato a benzina - ma non assisteremo a un cambiamento epocale come è stato il passaggio dal due al quattro tempi: qui pare più che altro un esperimento, sebbene preparato con largo anticipo e con risorse adeguate.

Direi che Dorna e FIM hanno voluto mettere un paletto, occupare uno spazio prima che altri anticipassero la mossa, in attesa di capire quanto conterà l’elettrico nel prossimo futuro. Le altre tre categorie vanno avanti senza esitazioni e oggi non si pensa certo di abolirle.

Quali sono state le svolte tecniche del campionato mondiale velocità, oggi MotoGP? Tanto per cominciare, le classi di cilindrata, che una volta erano addirittura sei per un programma che riempiva meravigliosamente le domeniche: la classe 50 introdotta nel ’62 e sostituita dall’84 con la 80, che durò soltanto sei stagioni; poi la 125, la 250, la 350 (abolita alla fine del 1982), la 500 e i sidecar. I tre ruote furono eliminati dal paddock mondiale con la stagione 1997.

Qualcuno ricorderà anche le 750, ma la loro categoria durò soltanto tre anni, dal ’77 al ’79: aveva un calendario a parte e si chiamava Formula 750.

La svolta del 1969

All’interno delle varie classi, i regolamenti tecnici sono cambiati tante volte, per esempio per la 125 furono abolite le bicilindriche dal 1989 e da allora regnarono le mono. Ma la svolta tecnica più famosa fu quella di vent’anni prima, 1969: per arginare il dominio delle marche giapponesi, capaci di sfornare mostri meravigliosi - come la 250 Honda quattro tempi a sei cilindri o le Yamaha a due tempi 125 e 250, quattro cilindri a V con ammissione a disco rotante, o ancora i microbolidi 50 a due e addirittura tre cilindri - la FIM introdusse articolati limiti per il frazionamento, il numero delle marce, i pesi massimi eccetera.

Tra le “vittime” del nuovo regolamento ci fu però anche la nostra Benelli: la sua 250/4 che era vincente andò prematuramente in pensione e la Yamaha, che aveva già pronte le bicilindriche 250 e 350 per i privati, dilagò senza trovare una concorrenza all’altezza.

Bisogna ammettere che fin dall’inizio del campionato mondiale i cambiamenti regolamentari hanno avuto una genesi politica: dietro ad ogni mossa si può leggere il tentativo di favorire o penalizzare questo e quello, talvolta anche di giustificare decisioni impopolari.

Come nel caso dell’interdizione delle carenature a campana. Gli italiani dominavano gli anni Cinquanta e, come la Ducati ai giorni nostri, detenevano un vantaggio nel campo dell’aerodinamica. E’ noto che la Guzzi guidata da Carcano fu la prima a dotarsi di una galleria del vento, a Mandello del Lario (è ancora lì da vedere), e queste carenature, che coprivano anche tutta la ruota anteriore, furono messe fuorilegge alla fine del ’57: troppo pericolose per i piloti, soprattutto con vento laterale. Ma pochi sanno che questa improvvisa decisione federale fu presa di concerto proprio con Guzzi, Gilera, Mondial ed MV Agusta, che avevano già deciso di
interrompere le attività sportive, diventate troppo costose, e volevano un pretesto da offrire all’opinione pubblica.

Dal due al quattro tempi

Tante cose sono cambiate nel massimo campionato di velocità nel corso dei settant’anni della sua vita. I punteggi sono stati modificati sei volte: nel 1949 prendevano punti solo i primi cinque (i primi sei dall’anno dopo) e un punto andava anche al pilota che stabiliva il giro veloce.

Dal ’69 furono assegnati i punti ai primi dieci, dall’88 fino al ‘91 ai primi quindici (20 punti al primo, poi 17 e 15), si tornò chissà perché ai primi dieci per la sola stagione 1992 e infine dal 1993 siamo assestati sul sistema odierno: quindici premiati e 25 punti al primo.

Tra i cambiamenti ad capocchiam (tipo quello della stagione 1992 nei punteggi) ricordo anche il passaggio dagli scarichi liberi al silenziatore (1976: il 26 giugno ad Assen scarichi aperti, il 4 luglio a Spa silenziatori obbligatori). E con la partenza a spinta,
fascinosa ma del tutto anacronistica, si andò avanti fino al 1986. Poi, finalmente, semaforo e motore acceso.

La vera svolta epocale è quella degli anni Duemila. Il passaggio dal due al quattro tempi, per tanti appassionati amarissimo da sopportare, è stato graduale: nel 2002 arrivò la MotoGP quattro tempi con cilindrata massima di 990 cc, nel 2010 la Moto2 sostituì la 250 a due tempi, due anni dopo sparirono le sibilanti 125 e nacque la Moto3.

Nella top class le due tempi restarono in pista numerose anche nel campionato 2002, perché le nuove quattro tempi erano poche e non avrebbero riempito la griglia; e di fatto le 500 due tempi sono state bandite dal regolamento solo nel 2007, quando si ridimensionò la cilindrata della MotoGP ai 799 cc.

Dal 2012 il regolamento tecnico ha fissato la massima cilindrata nel nuovo limite dei 999 centimetri cubi.

Valeva la pena di abbandonare i motori a due tempi? Tanti fattori giocarono un ruolo negli anni che precedettero l’introduzione del quattro: l’ecologia che era diventata un valore, la produzione motociclistica che non si specchiava più sui modelli delle corse, la voglia di cambiare e ingrandire il business.

Da testimone diretto posso dire però che anche i tecnici delle case più attive nelle competizioni spingevano in quella direzione, trovavano più stimolante sviluppare i nuovi motori. I piloti molto meno: Valentino Rossi, pilota ufficiale Honda, salì sulla nuova cinque cilindri protestando sonoramente.

Poi ne fu conquistato in pochi mesi: la RC 211 andava più forte del previsto ed era anche divertente da guidare.

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